Partiamo da un’infarinatura sulla cannabis in generale, quella che di legale non ha molto se non la presenza di CBD tra i principi attivi presenti in essa. I due cannabinoidi più “famosi” sono, il già citato, CBD e il THC: in cui il primo sembra essere la “sostanza buona” mentre la seconda quella “cattiva”.
Ma passiamo a spiegare meglio, perché questa differenza tra i due metaboliti è molto riduttiva ed anche, soprattutto per quanto riguarda il THC, fuorviante.
Partiamo proprio da quest’ultima. È stato certificato che tra le due è quella più nociva ma, a onor del vero, perché possa essere fatale c’è bisogno di un quantitativo di questo principio attivo molto alto (33740 mg per l’esattezza ndr), pari a circa 450 “spinelli”. Insomma, una cosa impossibile dato che il tempo impiegato per il consumo di questo quantitativo permette all’organismo di metabolizzare la sostanza assunta precedentemente, rendendo improbabile qualsiasi overdose.
Passando meramente a cosa è il THC, possiamo riassumerlo così: è una sostanza psicotropa, comunemente fumato o inalato grazie ad un vaporizzatore, con proprietà antidolorifiche, euforizzante, antinausea, antiemetiche, anticinetosico, stimolante dell’appetito, abbassa la pressione endooculare, ed è capace di abbassare istinti aggressivi.
Il CBD (cannabidiolo ndr) invece, oltre ad essere un ottimo miorilassante ha effetto positivo anche sullo stesso THC, amplificandone l’effetto analgesico e riducendone gli effetti collaterali sulla frequenza cardiaca, sulla respirazione e sulla temperatura corporea. Numerosi studi hanno dimostrato la sua “bontà”, dove addirittura si è evinto che che il cannabidiolo potrebbe essere in grado di bloccare il gene Id-1 che provoca la diffusione delle metastasi del cancro al seno, ma anche di altre forme di tumore.
Ora dimentichiamo il principio cattivo, dato che è quello che rende illegale la cannabis, e concentriamoci su quella buona che è quella che rende legale la vendita di alcune infiorescenze di canapa.
Cosa vuol dire? Vuol dire che tutti quei negozi che vediamo spuntare da un giorno all’altro in molte città d’Italia possono vendere prodotti (non solo fiori) dove la sostanza principe è proprio il CBD. Ciò non vuol dire che ci sia totale assenza di THC, ma solo che la quantità presente è conforme alle norme di legge: al di sotto dello 0,6%.
In pratica, è ormai legale coltivarla e venderla a patto che il THC sia inferiore ad un certo quantitativo, il che rende queste infiorescenze meno “dopanti” ma addirittura molto più rilassanti (data la massiccia e più corposa presenza del cannabidiolo), anche se queste informazioni non vi verranno mai fornite dai venditori stessi: secondo la legge la si può vendere solo per uso ornamentale e non per uso ricreativo.
Secondo testimonianze di persone che hanno provato sia quella “illegale” quanto quella “legale” la differenza tra le due sta proprio nelle proprietà dei due metaboliti: la prima dà più senso di fame (la cosiddetta “fame chimica” ndr) ed è più euforizzante, mentre la seconda dà un senso di rilassatezza che pervade tutte le articolazioni corporee. Gli unici punti d’incontro tra le due “varianti” sta sia nel sapore che nell’odore, dove a volte la seconda sembra avere anche fattori organolettici più acuiti rispetto alla prima.
Larga diffusione ha poi anche trovato la vendita on line di questo tipo di prodotti (Swiss Joint ad esempio), riuscendo a raggiungere anche luoghi dove i punti vendita fisici hanno avuto più difficoltà nell’arrivare.